ghettorignano1Almeno 20.000 lavoratori in agricoltura pari all’50% degli iscritti negli elenchi anagrafici, privi di diritti e invisibili ai mass media, a questi devono essere sommati almeno altri 10-15 mila lavoratori completamente in nero che non vengono iscritti negli elenchi anagrafici e che sono fuori da ogni circuito di legalità

Il Ghetto di Rignano nella giornata di mercoledì è stato scenario di una lite conclusasi purtroppo con la morte di un ragazzo e probabilmente bracciante.
Manifestando cordoglio per il ragazzo deceduto, tale episodio non sconvolge la scrivente: ogni anno quando iniziano le campagne delle grandi raccolte come quella del pomodoro, il ghetto purtroppo si satura di abitanti, rendendo ancor più complicata la convivenza. A volte queste discussioni, fortunatamente raramente, sfociano in vere e proprie risse.
Questa organizzazione sindacale sa bene che il fenomeno del ghetto di Rignano interessa l’opinione pubblica e le istituzioni soprattutto nei tre mesi estivi, mentre sembra quasi cadere nel dimenticatoio per i restanti mesi, un luogo come altri della Capitanata. Rignano non è l’unico, probabilmente è il più vasto e forse il più famoso, sotto i riflettori dei media internazionali e nazionali.

Leggiamo ancora una volta il rimbalzo di responsabilità che le istituzioni stanno facendo in questi giorni dopo la tragica vicenda, e si continua in modo assurdo e inconcepibile a non contestualizzare il fenomeno del lavoro nero che pervade il mondo agricolo in Capitanata: i lavoratori africani censiti negli elenchi anagrafici al 2014 sono 2646 solo 588 di loro hanno più di 51 giornate,  1151 hanno lavorato nell’anno nella provincia di Foggia per meno di 10 giornate; stesso destino spetta ai lavoratori Bulgari 4289 di cui 3600 meno di 51 giornate e ben 2300 non raggiungono le 10 giornate, in compagnia di 11.451 Rumeni dei quali 8400 non raggiungono le 51 giornate annue. Almeno 20.000 lavoratori in agricoltura pari all’50% degli iscritti negli elenchi anagrafici, privi di diritti e invisibili ai mass media, a questi devono essere sommati almeno altri 10-15 mila lavoratori completamente in nero che non vengono iscritti negli elenchi anagrafici e che sono fuori da ogni circuito di legalità. Una massa complessiva di 30.000 -35.000 lavoratori invisibili a molti.
Un contesto complessivo che frutta all’economia illegale milioni di euro, e che merita di essere analizzato nel suo insieme ed attenzionato come abbiamo sempre dichiarato, come un sistema strutturato e complesso gestito in modo organizzato, sottaciuto da sacche di assuefazione, anche da parte delle istituzioni.

Il Ghetto di Rigano pur essendo un esempio importante di quella che è la politica di accoglienza del nostro territorio, non riveste più del 10% del problema complessivo riguardante il tema dei lavoratori extracomunitari e comunitari nella nostra Provincia.
Le condizioni igienico sanitarie, la mancata attenzione delle Asl, dei centri di igiene Mentale verso i ghetti e gli insediamenti rurali è un tema fondamentale, come l’accoglienza, il rispetto delle norme contrattuali, elementi che devono riguardare tutti gli insediamenti ove questi lavoratori vivono e sopravvivono.

Serve ad oggi un’azione sinergica tra le parti sociali, con le parti datoriali; le aziende di trasformazione in loco devono pretendere che i propri conferitori, le aziende agricole di produzione, debbano essere iscritte nella rete di qualità per il lavoro agricolo, debbano essere eticamente sostenibili. Non può essere il costo del lavoro l’unico costo variabile delle produzioni: una azienda che rispetta le regole deve poter valorizzare la propria produzione, e i numeri sono complessivamente abnormi riguardano circa il 50% della forza lavoro in agricoltura, non si può sostenere che le aziende che gravitano nella illegalità sono una minoranza.
Ogni attore in questa fase è fondamentale, le norme Regionali e le attenzioni create da questo governo a seguito delle sollecitazioni del sindacato dimostrano che si può creare una giusta rete di norme, ora serve una nuova responsabilità etica della filiera delle produzioni, maggiore attenzione alla tracciabilità dei prodotti.

Il ghetto di Rignano non può essere continuamente l’unico elemento di discussione della campagna estiva del pomodoro, serve un di osservazione sul problema complessivo, ma la discussione centrale riguarda la legalità in agricoltura.
Le discussioni in campo sono numerose, dalla Regione alla Prefettura, parti sociali:  con un lavoro intenso probabilmente si può costruire un modello efficiente in merito a strumenti nuovi da far vivere nel contesto territoriale, anche in funzione dell’applicazione del nuovo protocollo sperimentale per l’emersione del lavoro nero e l’uscita dai ghetti. A questo  bisogna necessariamente costruire un percorso di responsabilità etica di tutta la filiera del pomodoro, e più genericamente del mondo agricolo in capitanata che coinvolga anche la GDO.